LA FATICA NEL MATRIMONIO PER UN OBIETTIVO PIÙ GRANDE
Lo scopo del Sacramento del Matrimonio è uguale a quello del non credente?
Chi crede, guarda la famiglia come chi non crede? Quale dono mi offre l’incontro con il mio Gesù? Quale scopo ha la famiglia cristiana, quale novità mi offre il mio incontro con Gesù, per il fatto che sono sposo/a, padre, madre?
C’è una realtà che può modificare il sapore e lo scopo di ciò che viviamo come tutte le famiglie di questo mondo; la novità, per il cristiano, è molto consistente e tale da offrire totalmente vita nuova a tutto il vivere di coppia e di famiglia.
Questa è la novità: la nostra identità di sposo/a nasce da Dio, è scaturita dal cuore di Dio e porta dentro di sé le coordinate di immagine e somiglianza di Dio Creatore, Amore infinito; e ne conserva la chiamata del ritorno a Lui. La novità è questa: con la forza dello Spirito Santo ci si sintonizza non solo con il suo inizio, ma anche con il suo fine; coppie e famiglia, origine e destino in Dio.
Lo scopo della famiglia è in Dio e in questo orientamento si realizza in pienezza la dimensione umana di sposo/a, padre, madre. L’origine del destino in Dio non toglie nulla alla dimensione umana, anzi, ne fa il luogo dell’esperienza Divina.
Molto spesso, nei nostri ragionamenti banali, si pensa che, essendo nati in Dio e avendo come scopo quel ritorno a Dio, questo sottragga qualcosa alla ricchezza della dimensione umana degli sposi; no, è esattamente il contrario, è scoprire che posso vivere Divinamente l’umano, come Gesù ha vissuto l’umano. La coppia, che scopre il suo destino in Dio, ha la possibilità di vivere più umanamente ancora. Ecco, in questo aspetto, guardando alla bellezza della coppia, tutto acquista novità: la bellezza, l’unità di amore, l’indissolubilità, la casa, la presenza dei figli; la stessa vita ordinaria può acquistare valore. In questa catechesi approfondiremo l’aspetto della fatica e della sofferenza nella vita di coppia. Va subito chiarito che non rispondiamo alle domande fondamentali del “perché esiste la fatica, esiste il dolore nel mondo”, ma cerchiamo di capire che cosa è la sofferenza nella vita di coppia e di famiglia. Cerchiamo di capire alla luce di Gesù e del Sacramento delle nozze, come vanno vissuti nell’orizzonte della vita, sia la fatica, sia la sofferenza.
Allora, la fatica di coppia e di famiglia: la fatica è una parola che comprende tutti quegli aspetti del vivere quotidiano che comporta un lavoro, un impegno, uno sforzo, un peso da sopportare; la fatica ha un risvolto fisico, perché ogni lavoro comporta un affaticamento fisico, ma accanto a quello fisico poi c’è anche un affaticamento mentale. Ogni lavoro esige un affaticamento mentale e psicologico molto forte.
La caratteristica della fatica nella famiglia è il fatto di aver scelto tale realtà di coppia, di famiglia e di figli; provate a fare un elenco della giornata e pensate ciò che a sera vi rende stanchi al punto tale di avere il desiderio di fermarvi o di andare a letto: le fatiche sono quelle di accudire un figlio la notte, il non riuscire a dormire perché il figlio/a non è ancora tornato/a ed è tardi, la fatica delle faccende di casa e del lavoro.
Poi in una famiglia le fatiche sono molto ampie, perché vanno dal rispondere alle esigenze di lui/lei, al rispondere alle necessità richieste dai figli, ma accanto a ciò che è costituito dalle situazioni familiari, ci sono le esigenze dei parenti, genitori, ecc.
Ci sono poi le cose normali da fare, relative alla casa, al lavoro; il faticare è l’ombra che ci accompagna nel nostro camminare. Anche la Domenica, spesso, è accompagnata dal scegliere di stancarci diverso dal solito.
La fatica appartiene all’uomo, alla sua vita, al suo vivere, al suo morire e al suo crescere; la fatica, però è lodata e benedetta dal Signore. La Bibbia dice, nel libro della Sapienza 10, 10: “La sapienza dà successo al giusto nelle sue fatiche”. 1Cor.15, 58 dice: “La nostra fatica non è vana nel Signore” Ap.2, 2: “Conosco le tue opere, conosco la tua fatica”. Nello stesso tempo, l’uomo è chiamato a godere il frutto della fatica. In Qoélet: “Il mio cuore godeva di ogni mia fatica”; ancora, in Qoélet: “Godere dei beni in ogni fatica”.
Ora, dopo aver guardato alla fatica, guardiamo alla sofferenza della vita di coppia e di famiglia. La sofferenza è un dolore, un patire che si aggiunge alla fatica normale, un patire che si aggiunge dall’esterno o nell’intimo di una persona. La sofferenza può essere fisica, morale o affettiva, può essere lieve o travolgente, fino a schiacciare la vita stessa di una persona. Ciò che caratterizza la vita nella famiglia è l’unità psico-fisica, che si instaura tra le persone, marito, moglie, figli, è una unità fonte di soddisfazione, di gioia, dà significato al vivere, è il motivo del vivere, perciò si accetta anche la fatica.
Soffrire in famiglia è tutto ciò che fisicamente, affettivamente o moralmente viene a ferire, a sminuire o annientare questa unità. Cioè, la sostanza della vita di coppia è l’unità; puoi essere forte, debole, ecc., ma ciò che fa soffrire è quando viene sminuita l’unità, l’unità del marito e della moglie. La sofferenza grande nasce quando non si sente più la persona del coniuge, quando viene meno la comunicazione affettiva, fino al separazione dei due; da uno stato di buona salute di uno dei due, al fatto che uno dei due può incombere in una menomazione o malattia.
Nel rapporto tra genitori e figli ogni assenza, ogni lontananza creano una grande sofferenza; quando un figlio si allontana dalla famiglia o incontra qualche malattia, mette in sofferenza i genitori. È certo che il legame vitale di sangue che c’è tra genitori e figli genera una sofferenza indicibile; quando un figlio subisce una malattia grave o permanente, o nel caso peggiore, quando un figlio viene a mancare…, questi sono i drammi più grandi, non ci sono parole che possano descrivere questo dolore.
Va anche messo in luce il dolore dei figli causato dal comportamento dei genitori, con quale sofferenza i figli assistono alle liti dei genitori! Di questo se ne parla poco, ma è cosa grave: quale ferita interiore sopporta un bambino quando sente o assiste a una lite dove un genitore demolisce un altro genitore? Cosa può provare un figlio quando vede che il papà distrugge la figura della mamma e viceversa? Cosa provano i figli quando avviene una separazione?
Noi ne conosciamo solo gli effetti secondari e si cerca di non mettere in risalto il peggio. A questo soffrire va aggiunta tutta una fonte di sofferenza per gli sposi o per i figli che può venire da un contesto esterno, per situazioni di parenti, ambiente di lavoro, divertimenti, o di forme di emarginazione che avvengono nelle scuole: sono tutti motivi che generano sofferenze.
Allora, andiamo al nucleo importante: davanti al discorso della fatica, della sofferenza della coppia e della famiglia, qual è la chiave interpretativa della fatica e della sofferenza in famiglia? La famiglia si distingue da ogni altra forma relazionale, la famiglia è una forma aggregativa unica. Cos’è che la distingue? È l’amore, è l’amore che ha generato e continua a generare la vita di coppia; è l’amore che continua a costituire un rapporto e continua a costruire un rapporto originale e unico fra genitori e figli; è ancora l’amore a dare significato alla fatica e alla sofferenza.
Quante fatiche potremmo evitare: pensiamo la Domenica, giorno del riposo, di solito ci si stanca più del solito, in modo diverso. Allora, di solito, si sente dire: “Bisogna, devo fare così, non ho altra scelta … “. Qual è la novità che può cambiare le nostre famiglie? È che bisogna far interagire il “bisogna” con l’amore: questo è il punto chiave. È vero che una mamma non può non far da mangiare, accudire i figli, e allora che cos’è che può cambiare il clima in famiglia? È il sostituire il “bisogna” con l’amore e anche semplificare le cose. Se lavo, se stiro, ecc., lo faccio perché amo e non perché “bisogna”; voglio amare, non “devo”!
Se mi fermo solo al “devo”, tutto diventa pesante; il perché amo non cancella la fatica, ma la rende produttiva a livello di relazione, di amore. Io corro: sono costretto a correre, quella corsa non mi toglie la stanchezza, però aumenta la relazione, l’amore, il riconoscimento del marito/moglie, dei figli. A volte ci si può trovare a sera stanchi, si è consumata la forza fisica, ma si è ricaricata la forza dell’amore. È bello arrivare stanchi alla sera, ma non stanchi di amare; arrivare stanchi, ma pieni di amore. Il “voglio amare” dà un volto totalmente nuovo alla fatica. Quanta gente, per il troppo lavoro, per accumulare denaro, per avere la casa nuova, la macchina bella, hanno perso la famiglia. Il motivo “perché amo” deve essere attuale, non devo cercare il certificato del Matrimonio per ricordarmi di aver amato; l’amore deve essere l’abito dei coniugi.
Se non vivo nell’amore, come potrò io superare la malattia della moglie/marito? Solo se amo mi accorgo che trascuro il coniuge, ma se non ho l’amore, non mi accorgo di trascurarlo e allora rispondo nelle difficoltà: “Ma cosa ti manca? Lavoro, porto a casa lo stipendio, cosa vuoi ancora?”. L’Amore mi dà luce, mi fa vedere se ho sbagliato; l’amore ci fa vedere se offriamo un cammino educativo ai nostri figli, ma se viviamo in disaccordo, non possiamo offrire un cammino educativo ai nostri figli. Chi ama è nella luce, ti fa capire perché c’è la sofferenza; l’amore è guida alla comprensione, al condividere: la sofferenza genera solitudine. Se c’è l’amore, c’è comprensione del dolore: l’amore è e dà la forza per continuare a esserci, anche nel dolore.
La sofferenza può far pensare a una persona, “Non servo più a nessuno”, fa perdere il senso dell’esserci, ma se hai accanto chi ti ama, che chiede il tuo amore, è come ridare senso, è come ridare vita alla persona.
Altro aspetto importante: noi oggi, con il benessere, abbiamo risparmiato tante fatiche ai nostri figli; dobbiamo rivedere questo aspetto e ridare un’educazione esplicita alla fatica. Educare alla fatica equivale a educare all’amore, perché il far fatica ha sempre come risvolto il senso di responsabilità, di condivisione, e se non sai condividere, vuol dire che non sai amare.
Amare è saper sopportare i pesi gli uni degli altri, è saper sollevare dalla fatica: quando i figli sono serviti e riveriti fino a vent’anni, e incapaci di sostituirsi ai genitori nel servire a tavola, vuol dire che non sono stati abituati al sacrificio, e quindi questi non sono in grado di amare nessuno.
Oggi amare è un’arte sempre più rara, perché è stato sviluppato soprattutto il “farsi amare”, il “farsi servire”, perciò va messa in atto un vera educazione all’amore che ha come caratteristica una sua fatica per poter far sì che l’amore sia autentico. Questo è il senso della vita dei genitori, è questa l’educazione che va data ai figli, perché solo così sapranno amare e gustare la preziosità dell’amore di chi ci sta accanto e chi ci ama. Attenzione, però, di non crearsi un ideale di “pace in famiglia”, che diventa un’apatia: non c’è famiglia che non abbia sperimentato il dolore, e solo il sacrificio ci rende abili per viverlo senza traumi eccessivi. Fate attenzione di non accontentarvi e non chiudervi dentro la vostra famiglia e tutto finisce lì; questa non è la vostra chiamata, la chiamata al Sacramento del Matrimonio dona agli sposi una luce straordinaria. L’amore degli sposi è già collocato nell’Eternità, non è più solo il “per sempre” che vi siete detti nel giorno delle nozze, ma è il “per sempre” di Gesù nella coppia, non è il nostro “per sempre”; magari noi pensiamo di essere bravi perché siamo ancora insieme, non abbiamo mai tradito la moglie, il marito; no, la grandezza è il “per sempre” di Gesù agli sposi: “vi amo di amore eterno”. Questo è il mistero grande: ci ha fatti per Lui e non cessa mai di parlarci per trovarci dentro e farci capire “Il suo Regno non è di questo mondo”. Ecco, voi, sposi, siete chiamati a rendervi partecipi e vivere quella carità di Gesù che si dona sulla croce; questo è l’amore a cui siete chiamati, partecipi di quel dolore, di quel patire di Gesù che si dona sulla croce. Senza amore non siete dentro l’amore di Dio. Gli sposi cristiani hanno la capacità Sacramentale di amare come Cristo ama, è un amore che si modella su quello di Gesù per ogni uomo/donna, e non si basa sulla simpatia, e per la Sua Chiesa. Gli sposi hanno ricevuto il dono di decidersi per il “sì” o per il “no”, di usare questa potenza dell’amore di Dio.
I Vescovi dicono: “La comunione coniugale non si aggiunge dall’esterno, né rimane parallela con quella famigliare, ma bensì assume questa struttura dentro al mistero dell’Amore di Gesù per la Sua Chiesa e per tanto la trasforma interiormente e la eleva a segno e luogo di comunione nuova, soprannaturale e salvifica”. Perciò tutto ciò che fa parte del dinamismo di vita di coppia, fatica e sofferenza comprese, è coinvolta dentro un amore più grande, che è la fatica e la sofferenza di Gesù; è perciò un amore che non si ferma al confine dell’amore famigliare, è un amore che non ha limite di tempo, né si disperde con il consumarsi del corpo o con il termine della vita; è un amore che va oltre, è in Dio, per sempre; la nostra fatica nella Sua fatica, e il nostro soffrire, nel Suo soffrire. Così si rovesciano le cose del mondo e ciò che è piccolo, diventa grande: “Chi avrà dato anche un solo bicchiere d’acqua…”. Le nostre debolezze possono diventare potenza: “Quando sono debole, è allora che sono forte”. Ecco, allora, gli sposi sono la sintesi della sofferenza perché sono coinvolti dentro all’Amore più grande. La “Familiaris Consortio” dà questa affermazione: “Gli sposi sono il ricordo permanente di ciò che è accaduto sulla croce, perché sono dentro all’Amore eterno del Padre”.
Sapevo, io, di essere portatore di questo dono infinito del Cristo?
Sapevi che il dono non è per te, ma per tutta l’umanità?